Luca Buti

L'eutanasia, come affrontarla

Autore: Luca Buti, Medico Veterinario in Roma
Master di II livello in Medicina Comportamentale degli animali d’affezione

 

Partiamo dal concetto di ciclo biologico, cioè l'arco temporale biologico che va dalla nascita, passa per l'accrescimento, la maturità, l'invecchiamento e termina con la morte, statisticamente determinabile per ogni specie.

L'uomo ha, in media, un'aspettativa di vita di oltre ottanta anni, il cavallo di circa trenta, la testuggine marina di più di cento, il criceto di circa quattro, i nostri cani e gatti di circa 14. Per il cane, in particolare, la durata del ciclo biologico, sempre in media, varia con il variare della taglia. In questa specie, infatti, la tendenza è quella di una proporzionalità inversa con la mole: più sono grandi, in sintesi, meno sono longevi.

Detto questo, quando noi pensiamo al nostro cane o gatto di 14, 15, 16 anni di età, emozionalmente e anche dal punto di vista cognitivo, avendolo adottato noi, immaginiamo di osservare nostro fratello, nostro figlio o nostro nipote, quindi non riusciamo, a livello emozionale, ad accettare che esso sia al termine e non all'inizio o nel mezzo del suo ciclo biologico; razionalmente, invece, per quanto detto sopra, è come se osservassimo nostro padre o nostro nonno.

 

 

Il dolore “psicologico

 

I concetti espressi fin qui rappresentano un ostacolo enorme per noi, quando, in presenza di una grave patologia, certamente diagnosticata, e in assenza di cure efficaci accertate che possano portare a guarigione il nostro pet (o quantomeno permettere un proseguimento della sua vita in condizioni accettabili di sofferenza e, comunque, compatibili con le caratteristiche della sua specie), siamo posti di fronte alla decisione, sempre terribile a prendersi, se far praticare o meno l'eutanasia.

Non esiste un protocollo certo, nonostante molti enti preposti e specializzati abbiano stilato delle linee guida da seguire in simili momenti, ma forse giova a noi e soprattutto al nostro compagno tenere in grande considerazione alcuni punti: innanzitutto la certezza della patologia, in secondo luogo l'assenza di terapie atte alla guarigione o quantomeno al controllo della patologia, inteso come possibilità di impedire o alleviare la percezione del dolore. A questo proposito, va sottolineato che non esiste solo il dolore “fisico”, inteso come sintomo fisiologico, ma anche per i nostri pet, esseri assolutamente senzienti, esiste anche un dolore "psicologico", determinato dal non essere più in grado di svolgere le proprie funzioni. Il primo, il dolore "fisico", è valutabile con accettabile precisione dal medico veterinario; il secondo, quello "psicologico", va valutato dal proprietario, perché consiste nell'impossibilita di poter condurre una vita così come la si era vissuta fino a quel momento, con abitudini, azioni e affetti tipici della specie; essendo noi ad aver condiviso tutta la vita del nostro cane o gatto, siamo noi gli unici soggetti abilitati a decidere quando la sofferenza, intesa in questo senso, non sia più compatibile con le caratteristiche di specie.

 

La “buona morte”

 

Altro punto da considerare con molta attenzione è il fisiologico e comprensibilissimo egoismo che si impadronisce di noi quando percepiamo la nostra incapacità a separarci definitivamente da un affetto così grande, che ci porta a mettere in secondo piano proprio la sofferenza dell'oggetto del nostro amore, a volerlo, insomma tenere, nonostante tutto con noi.

Inoltre, se consideriamo che ci siamo occupati del nostro pet fin da cucciolo, che abbiamo provveduto a farlo vivere protetto dalle malattie, dai pericoli, circondato dall'amore di una famiglia e soddisfatto nelle sue esigenze emotive, forse ci risulterà meno gravoso il decidere di accompagnarlo anche nell'ultima tappa della sua vita, lungo il passaggio, come ipotizzano in molti, su quel ponte che separa la vita tangibile da quella non-tangibile.

Per ultimo, soffermiamoci sul significato etimologico del termine “eutanasia”. Deriva dal greco eu che significa “buono, giusto” e tanathos che vuol dire “morte”. Letteralmente quindi è “buona morte”; concetto che si contrappone nettamente a quello di cattiva morte, ossia una morte in sofferenza.

Quindi, se sussistono tutti i parametri che abbiamo prima elencato, per il nostro compagno peloso cosa testimonierebbe meglio il nostro amore, qualora ci trovassimo in condizione di dover decidere per lui tra una buona morte e una cattiva?

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